Sfarzo British

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Nei giorni dell’incoronazione di re Carlo III abbiamo ammirato la tradizione britannica in tutto il suo splendore, fra carrozze degne di una favola di Andersen e stendardi da cavalieri medievali. Tutto questo appaga gli occhi, conferisce prestigio al Regno Unito, e suggerisce il contatto con una tradizione antica, gloriosa e (soprattutto) ininterrotta, che parte (idealmente) dalla Camelot di Re Artù, di Lancillotto e di Ginevra e arriva ai giorni nostri senza soluzione di continuità, passando per Guglielmo il Conquistatore, Riccardo Cuor di Leone, Enrico VIII e le sue sei mogli, la prima Elisabetta (quella dell’epoca di Shakespeare), la regina Vittoria, Elisabetta II e infine suo figlio oggi regnante. Tutto vero, tutto certificato dalla Storia? Sì, a parte l’evanescente re Artù la continuità storica è molto ben documentata.

Ma c’è un dettaglio che non torna: nel Regno Unito potrebbe essere un po’ fasulla la pretesa di continuità storica del fasto delle cerimonie, un fasto che non riguarda solo l’incoronazione ma tutti gli elaborati riti della corte e della nobiltà e delle istituzioni britanniche nella vita di tutti i giorni, con tutto il contorno di parrucche, cacce alla volpe, aristocratici snob eccetera. Nel suo classico libro “L’invenzione della tradizione” lo storico britannico Eric Hobsbawm scrive che “molte tradizioni che ci appaiano o si pretendono antiche hanno spesso un’origine piuttosto recente, e talvolta sono inventate di sana pianta”. E alcune delle più celebrate tradizioni britanniche potrebbero rientrare proprio in questa categoria.

Abbiamo numerose testimonianze secondo cui nel primo Ottocento in Inghilterra le carrozze dorate, le parrucche, i pennacchi eccetera furono gettati via per due o tre generazioni, per essere poi riscoperti, in versione un tantino kitsch, solo alla fine del secolo. Citiamo qui con qualche dettaglio la testimonianza di un italiano di nome Giacomo Costantino Beltrami, che soggiornò a Londra fra il luglio e l’ottobre del 1821 godendo di entrature ai massimi livelli. In America Beltrami scoprì una delle sorgenti del Mississippi, corrispose con Thomas Jefferson e fu ricevuto in udienza privata alla Casa Bianca dal presidente Monroe (quello della famosa “dottrina”). A Londra frequentò per diversi mesi personaggi come il duca di Wellington, vincitore di Napoleone a Waterloo, e quattro futuri premier britannici: Lord Aberdeen, George Canning, Lord John Russell e Lord Palmerston.

L’ospite italiano in Inghilterra ebbe la possibilità di assistere a feste, cerimonie pubbliche, eventi ufficiali; vi trovò però un ambiente completamente diverso da come si aspettava, e da come ci aspetteremmo noi viventi nel XXI secolo. Nei suoi diari, Beltrami nel 1821 confronta i modi di vestire e le abitudini di vita dei nobili britannici con quelli del resto d’Europa, e resta sbalordito nel constatare che a Londra “i Lord si vestono e si atteggiano modestamente. I membri del Parlamento appaiono persone ordinarie. I ministri, spesso arbitri dei due emisferi, non si distinguono da questi sciatti parlamentari né per gli abiti né per i modi”, tutto questo in confronto con “le vestimenta elaborate, le decorazioni, l’altezzosità e l’aria sdegnosa” delle loro controparti nobiliari sul Continente. E non si tratta solo di look, ma anche di modo di fare: Beltrami registra che in Inghilterra “i nobili e le persone distinte ostentano familiarità con gente anche di bassa condizione incontrata per strada”. Niente snobismo, niente pennacchi, niente colori sgargianti, niente carrozze da favola, tutto questo a inizio Ottocento in Inghilterra era stato bandito perché considerato come ciarpame del passato, non come nobile tradizione, e anche la monarchia si mostrava ugualmente sobria nelle sue cerimonie.

Beltrami si limita a osservare e a registrare tutto questo, non indaga su come e perché avvenga, ma in realtà proprio le sue note offrono un indizio di spiegazione: quando Beltrami ci racconta che i politici britannici della sua epoca, “arbitri del destino dei due emisferi”, erano sciattissimi nel vestire e nel parlare, crede di segnalare un paradosso, e invece ci fa intuire che uomini così potenti, e così sicuri della loro potenza, non avevano il minimo bisogno di gettar fumo negli occhi al prossimo con pennacchi e lustrini; fu solo verso la fine dell’Ottocento, quando Londra cominciò ad avvertire gli scricchiolii della decadenza, le prime resistenze fra i popoli dell’Impero, e l’Inghilterra, già “officina del mondo”, venne surclassata economicamente dagli Stati Uniti, dalla Germania e (in prospettiva) dalla Russia, fu solo allora, come osserva lo storico Arnold Toynbee, che i britannici furono colti dall’impellente necessità di tornare ai pennacchi e ai lustrini del presunto passato, per ostentare un potere che (in realtà) stava loro sfuggendo di mano – e se ne rendevano conto fin troppo bene.

Per riassumere: nell’Inghilterra allo zenit della sua potenza visitata da Beltrami il costume era molto sobrio, persino quello dei monarchi, mentre l’uso, e forse l’abuso, dell’armamentario presunto antico tornò in auge solo nella fase calante dell’Impero. Potrebbe essere questo, o in gran parte questo, che vediamo sfilare ancora adesso in certe cerimonie in tv. Che sfarzo e pennacchi siano o no fumo negli occhi, tutto questo nulla toglie alla grandezza della bella favola che i Reali britannici, loro e soltanto loro fra le poche monarchie superstiti, riescono tutt’ora a recitare sul palcoscenico del mondo.

Luigi Grassia è autore, fra altri libri, di “Balla coi Sioux. Beltrami, un italiano alle sorgenti del
Mississippi”, Mimesis Edizioni.

Luigi Grassia