Alla scoperta della “seconda Petra”

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Esiste un’altra Petra, analoga a quella della Giordania, ma con alcune peculiarità. Si chiama Hegra e si trova in Arabia Saudita nella regione dell’Hegiaz, che si distende lungo il Mar Rosso in contiguità con l’attuale Giordania. Nell’antichità i confini fra gli Stati di oggi non esistevano, e tutta la zona di cui stiamo parlando era popolata dai Nabatei, una ricca tribù di mercanti del deserto, che conduceva lunghe carovane di dromedari e di cammelli.

Come si vestivano? Non lo sappiamo, ma è lecito immaginare che i Nabatei fossero riccamente addobbati come i Re Magi del presepe, perché di mestiere trasportavano oro, incenso e mirra, in aggiunta ad altre spezie e mercanzie, meno preziose ma comunque apprezzate dal mercato. Questa loro ricchezza veniva in parte trasfusa nelle città e nelle necropoli che costruivano nelle zone più suggestive del deserto. Nei secoli immediatamente precedenti e successivi la nascita di Cristo, Petra era la capitale dei Nabatei, e Hegra era la loro seconda città per importanza e splendore.

Una grande differenza fra Petra e Hegra è che oggi la prima è famosissima, mentre la seconda è ancora poco conosciuta al mondo. Il fatto è che fino al 2019 l’Arabia Saudita era chiusa al turismo, perciò gli archeologi a Hegra facevano i loro scavi, ma poi nessun visitatore andava ad ammirare i monumenti. A fine 2019 il governo saudita decise di lanciare turisticamente la zona, ma questa si rivelò una falsa partenza: subito dopo arrivò la mazzata del Covid, un 2020 di nuova chiusura e un 2021 di timidissima ripartenza. Il vero rilancio, che corrisponde (in realtà) a un lancio assoluto, è in corso adesso, nel 2022.

A Hegra i Nabatei trovarono imponenti pareti di rocce rosse, che li invitavano a scalpellarle e a ricavarne tombe monumentali di re o capitribù, sul modello di quelle di Petra. Alcune tombe sono colossali, altre più piccole, a seconda della ricchezza di chi commissionava il lavoro agli artigiani. Nel sito principale (immenso) se ne raggruppano più di cento, mentre a qualche chilometro di distanza, in splendida solitudine, si eleva il “castello” di Qasr al-Farid, che in realtà è un’altra tomba, la più spettacolare di tutte, ricavata da un colossale blocco di pietra che domina un mare di sabbia. Dietro la facciata, tutte queste sepolture presentavano vaste camere che venivano riempite di doni preziosi per il viaggio nell’aldilà; però questi tesori sono stati depredati già in tempi antichi.

Un’altra particolarità di Hegra è una ciclopica roccia definita come l’Elefante per la forma in cui l’ha scolpita il vento in milioni di anni. Dunque, adesso l’Arabia Saudita si è aperta al turismo; ma le viaggiatrici occidentali non sono costrette a indossare il velo, con inevitabile sacrificio nella stagione calda? Ebbene no: nell’Arabia di oggi le donne straniere possono girare ovunque senza velo, tranne che nelle moschee; e abbiamo trovato quasi tutte le moschee aperte ai viaggiatori occidentali, con l’eccezione di pochi luoghi santissimi come la Ka’ba della Mecca. La differenza è abissale rispetto al passato, anche molto recente, come ci racconta la studiosa italiana Giada Vercelli, che invitata in Arabia, tre o quattro anni fa, per un ciclo di conferenze, fu costretta a circolare “sempre con il velo islamico ovunque andassi, obbligatoriamente accompagnata da un uomo, e con la polizia religiosa sotto il palco quando parlavo in pubblico”; adesso non è più così.

Luigi Grassia

Foto di Luigi Grassia