Tutti per uno, uno per tutti

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Mai fu più indicato questo motto dei famosissimi “Tre moschettieri” del celebre romanzo d’appendice del francese Alexandre Dumas, per sintetizzare l’Italia, vincitrice a Euro 2020, giocato per problemi Covid quest’anno, del Ct Roberto Mancini. Mai si era vista una nazionale giocare con lo stesso affiatamento e dinamismo di una squadra di club che si allena per tutto l’anno assieme e non per brevi periodi come capita sempre alle varie selezioni delle Nazioni.

Mai si era visto un simile spirito collaborativo tra giocatori di diverse squadre, anche molto competitive tra loro, come quello messo in campo dall’Italia, neo campione d’Europa. Raramente poi, una selezione era arrivata al successo finale imbattuta, con cinque vittorie, due pareggi seguiti dai calci di rigore e con sole quattro reti subite.

Incredibile, è pensare che tutto questo sia successo a soli quasi quattro anni dalla non qualificazione ai Mondiali russi del 2018. Era il 13-11-17 quando l’Italia, allenata all’epoca da Giampiero Ventura, allo stadio di San Siro di Milano, non riusciva a segnare con la Svezia fermandosi sullo 0-0, dopo aver perso a Stoccolma per 1-0. Una giornata amarissima per lo sport più famoso del nostro Paese, paragonata a quella della celebre disfatta contro i dilettanti del nord Corea ai Mondiali inglesi del 1966. E così, contro tutto e tutti, la nostra Nazionale, come l’araba fenice, è risorta dalle sue ceneri.
Merito di questo miracolo sportivo, sicuramente l’attuale selezionatore ed ex giocatore molto talentuoso, Roberto Mancini. Un Ct atipico, in quanto ancora mentalmente molto calciatore e condottiero da club che ha saputo trarre benefico da ogni scampolo di tempo che i club gli hanno, tra tanti mugugni, consentito.

Tutte le volte che arriva qualche successo, iniziano le beatificazioni e il tentativo di “salto sul carro dei vincitori”. In questo caso, nonostante il flop di alcuni calciatori che, si spera, non verranno più convocati in futuro, in vista dei prossimi Mondiali del Quatar del prossimo dicembre, è emerso il merito del gruppo. In pratica del “tutti per uno, uno per tutti” di Dumas memoria. Quattro nomi però spiccano su tutti: il portierone del Paris S. Germain ed ex del Milan, Donnarumma, il centrocampista italo-brasiliano del Chelsea, Jorgignho e la coppia juventina inossidabile di centrali difensivi, Bonucci e Chiellini. Soprattutto quest’ultimo, capitano della squadra, che ha saputo recuperare a tempo di record un affaticamento muscolare e fornire nei momenti decisivi, a partire con il Belgio, la ritrovata inviolabilità della nostra ultima linea.

Al di là dei meriti sportivi, molto probabilmente, l’immagine che rimarrà scolpita nella mente di noi tutti, è l’abbraccio finale tra il Ct azzurro e l’ex compagno della Sampdoria e l’amico di sempre, Gianluca Vialli. Uno sfogo dal doppio significato: sanitario e sportivo. Sanitario perché nel mondo stiamo lottando contro il Sars Cov-2 che ci ha costretti a interrompere le nostre classiche espressioni di comunicazioni e questo sfogo sa di buon auspicio per il futuro. Per Vialli perché, senza tanta enfasi, sta lottando, contro una malattia crudele che gli auguriamo, con sincerità, possa battere. Anche ai rigori, perché no.

Sportivo, perché proprio qui a Londra, nello stadio di Wembley, il 20-5-92 la fortissima Sampdoria del presidente Mantovani della coppia Vialli – Mancini, allenata da Vujadin Boskov, perdeva di misura, 1-0, e ai tempi supplementari per una rete dell’olandese keuman, la finale della Champions League contro il Barcellona. Una degna chiusura del cerchio.
Una particolare menzione, deve essere data anche ai collaboratori di Mancini che il Ct ha scelto tra tutti i suoi amici ed ex compagni di gioco. Oltre a Gianluca Vialli, ci sono: Alberico Evani, Attilio Lombardo, Giulio Nuciari, Fausto Salsano e il team manager, Gabriele Oriali.

A distanza di qualche giorno dall’euforia di questo inaspettato ma altrettanto meritato successo agli Europei, si impone un’analisi più approfondita su ciò che è stata questa manifestazione e ciò che comporterà.
È stata una scommessa vinta dagli organizzatori della Uefa (la federazione calcio europea), anche se con qualche ombra organizzativa. Infatti, questa edizione dei campionati Europei 2020, posticipata a quest’anno per problemi pandemici, doveva essere itinerante tra le varie capitali del Vecchio Continente e nessuno riesce a spiegarsi, ad eccezione del presidente dell’Uefa, l’avvocato sloveno Aleksander Ceferin, del perché la sola Inghilterra abbia potuto giocare ben sei su sette partite in casa, allo stadio di Wembley. A conti fatti, gli uomini di Gareth Southgate, hanno disputato la sola gara dei quarti di finale, quella vinta per 4-0 contro l’Ucraina, fuori dal Regno Unito, Precisamente a Roma, allo stadio Olimpico.

Un percorso, se volessimo essere un po’ maliziosi, studiato a tavolino e senza fare i conti con l’oste, in questo caso la nostra Italia. Come al solito, parafrasando un vecchio detto, fatte le pentole, ma non i coperchi.
Da valutare poi, nelle prossime settimane, se le decisioni delle autorità britanniche in tema di salvaguardia della salute pubblica, siano state o meno azzardate, lasciando riempire senza alcun distanziamento, in piena emergenza variante indiana, la delta, lo stadio londinese di Wembley.
Se per parte nostra, l’immagine principale e carica di significato è stata l’abbraccio tra Mancini e Vialli, lo stesso, ma in negativo, è stata fatta e confezionata dai sudditi della “perfida Albione”. Anche se è successo altre volte, mai nessun giocatore si era tolto la medaglia d’argento, quella del secondo classificato, subito dopo esserla vista mettere al collo e prima di scendere dal palco. Un gesto altamente anti-sportivo e per nulla rispettoso rispetto agli avversari. Un modo dispregiativo per non riconoscere il risultato del campo.

Non di meglio si è comportato il numerosissimo pubblico di fede inglese, perché solo loro potevano prendere parte alla partita per restrizioni Covid. Tifosi che, dopo aver fischiato il nostro Inno nazionale, una vera manifestazione di selvaggia educazione, non sono rimasti sugli spalti per assistere alla premiazione, anche solo a quella dei propri giocatori che sono arrivati, comunque, in finale. Episodio non sporadico e parzialmente giustificato dalla delusione della cocente sconfitta nella finale di Euro 2020. Scriviamo questo perché, solo pochi giorni prima, gli stessi simpatici e volgari “tifosi” di Sua Maestà, nella partita di semifinale, loro regalata contro la Danimarca, avevano fischiato l’inno ospite. Senza dimenticare che qualche idiota britannico, perché altro termine migliore non riesco a trovarlo, aveva puntato una luce laser sugli occhi del portiere danese Schmeichel (figlio d’arte del padre, anche lui portiere della nazionale del suo Paese), impegnato a parere il regalato calcio di rigore assegnato all’Inghilterra dall’arbitro olandese Danny Makkelie.

Rigore che ha decretato, rimarchiamolo, l’ingiusta sconfitta dei danesi e il loro accesso alla finalissima del campionato europeo. 26.000 sterline, la multa inflitta dalla Uefa per questo comportamento altamente sportivo; altro che fair play e fair play e, come direbbe Totò: ma mi faccia il piacere.
Un effetto non meno importante che porterà questa importante vittoria, riguarderà i giovani calciatori o aspiranti tali che, da queste imprese hanno sempre tratto enormi vantaggi psicologici, sia per la maggiore facilità nel reclutarli, sia per le maggiori motivazioni che potrebbero generare dei futuri campioni. Da un punto di vista tecnico, questo Europeo ha dimostrato come il gioco di squadra sia fondamentale, al di là del valore dei singoli che non sono riusciti ad aggiungere nulla o a incidere più di tanto. Soprattutto gli attaccanti. E qui viene la nota dolente della nostra Italia con Belotti e in particolare Immobile bocciati, senza possibilità di esame di riparazione. Un gioco corale non più esasperato da un continuo corto e lento fraseggio, come il tradizionale spagnolo “tiki- taka”, ma dalla versione tricolore. Più dinamica e veloce nella esecuzione e che cerca di coprire tutto il campo, soprattutto sulle fasce laterali. In poche parole, senza puntare a uno sterile possesso dell’azione, quindi del pallone.

Da un punto di vista economico, questo trionfo continentale, porterà una fortissima iniezione di maggiore fiducia nei mostri “mezzi Paese” che, secondo una prima stima di Coldiretti, dovrebbe portarci ben 12 miliardi di euro in più di Pil, pari al 4,1%, a valori correnti. Oltre a un più 10% dell’export di cui beneficerà tutto il “made in Italy”. Per non parlare del traino innegabile che darà a tutto il turismo dello Stato più bello del mondo. E lo possiamo ben scrivere; of course.

Un ultimo pensiero va al tennista romano, Matteo Berrettini, ora numero otto nel mondo per la classifica ATP, primo finalista della storia italica ad essere approdato in finale al torneo sull’erba londinese di Wimbledon. Si è dovuto arrendere per 3-1 al numero uno del mondo, il serbo Novak Djokovic, al suo terzo successo nei primi tre Slam della stagione: Australia Open, Roland Garros e Wimbledon. Che dire, se non complimenti a Matteo e continua così: prima o poi anche i numeri uno possono regalarti un’occasione e bisogna essere pronti a coglierla.


Pier Paolo Cioni